lunedì 28 dicembre 2015

Everest


Partiamo dalle conclusioni (oggi mi gira così, va).
È un film che terrei nella mia videoteca personale? No.
Quindi è brutto? No.
Allora è bello? Ni.
Si lascia guardare? Certo, anche se deve piacere il genere (drammatico) e/o devi adorare la montagna.
Chiuse le conclusioni, passiamo alla recensione vera e propria.
‘Everest’ è un film tratto da una storia vera.
Trama: cavalcando l’onda dei viaggi-avventura, ecco che si aprono le frontiere nello scalare l’Everest anche ai non professionisti (basta avere i soldi e si arriva ovunque, no?).
È così che alcuni alpinisti (con  schiavi sottopagati uomini del luogo addetti al preparare il passaggio per i paganti) accompagnano nella scalata un gruppo di turisti, tra cui una donna (con due palle più grosse di quelle di Mike Tyson quando ha vinto il titolo mondiale di boxe). Peccato che durante la scalata una tormenta investe i nostri sfigati prodi avventurieri, con tragiche conseguenze per alcuni di loro.
Ci s’immedesima subito nei protagonisti e nel loro soccombere dinnanzi alla Natura (è lei che ne esce vincitrice, pur non vedendola salire sul podio… Hanno tagliato quello spezzone di film in quanto troppo strappalacrime). Pensare solo di essere a migliaia di metri d’altezza con nessuno che ti viene a salvare e con la neve che lentamente ti gela il corpo, fa rabbrividire (sempre per restare in tema…).
È palese l’attacco del regista a questa filosofia dei viaggi organizzati no-limits (anche se, ammettiamolo, vuoi mettere riunirsi dopo le ferie con gli amici e mentre gli altri se ne escono con ‘Io sono stato ad Ibiza’, ‘Io a Londra’, ‘Io a New York’, salti su e te ne esci con un bel ‘Io ho scalato l’Everest, SFIGATI!!!!’). Ma questo passa in secondo piano davanti alla drammaticità dell’intera vicenda e al perenne dubbio: ‘Chi morirà? Chi sopravvivrà? Scommettiamo un pacchetto di sigarette?’.
C’è da una parte l’aspetto eroico di chi vuole raggiungere la vetta e sentirsi padrone del mondo mentre dall’altro la natura che ride di questa patetica onnipotenza gridando loro un bel ‘Suuuuuca babbei!’.
Il film può essere diviso in due parte: la prima è più una presentazione dei personaggi e una preparazione all’impresa mentre la seconda è un ‘La morte ti ha quasi raggiunto: sei fottuto’. Entrambe hanno una loro ragione di esistere e realizzate in modo tale da non annoiare mai.
Non c’è nessuna storia d’ammmmmmore a rompere le scatole (ne uomini alla Brad Pitt senza magliette e con gli addominali al vento presenti solo per far sbavare le spettatrici), o comunque presentata in modo talmente marginale da non far venire il latte alle ginocchia agli spettatori. C’è solo la natura e l’uomo che vuole dominarla con frustino, completo sadomaso di lattice e vaselina pronta all’uso.
‘Ma allora se ti è piaciuto così tanto perché non entra nella tua videoteca?’, vi chiederete voi, baldi giovani lettori.
Perché, per quanto l’abbia apprezzato, trovo sia uno di quei film che si guardano una volta sola. Una seconda sarebbe eccessiva, almeno per me, estimatore di Marvel e di American Pie (nessuno è perfetto, no?).
Ergo, guardatelo perché sicuramente merita più di tanti altri film realizzati in questi mesi. E poi si vedrà.

martedì 15 dicembre 2015

Modà – E non c’è mai una fine


Ora, io la vedo così: ci sono gruppi/cantanti che fanno musica che abbraccia svariati aspetti della vita (vedi Ligabue, Dj Ax, Negrita, Max Pezzali) e altri che puntano solo alle ragazzine di 13 anni alla loro prima cotta adolescenziale e alle donne cresciute a pane e principe azzurro sul cavallo bianco.
Questi ultimi si riconoscono subito: sfornano canzoni straripanti di frasi fatte, patetiche e scontate. Le loro canzoni, ascoltate con un minimo di lucidità e di mente critica, fanno sorgere il dubbio che le abbia scritte una bambina di otto anni come omaggio ai suoi idoli Justin Bieber e One Direction.
Dai, ammettiamolo: la rima cuore-amore te l’aspetti da una ragazzina delle elementari, non da artisti famosi e stra-pagati (vedi Ramazzotti, Antonacci e D’Alessio).
Comunque, non divaghiamo su altri artisti. Torniamo sui Modà.
Un ascoltatore ‘che cerca di andare oltre’, vorrebbe apprezzare delle canzoni profondi, impegnate, che vanno al di là dei cliché e luoghi comuni stra-abusati e stra-usati. E che la mielens-patetica storiella ‘ti amo tanto, dove sei?, soffro tanto, ti amerò per sempre, torna presto’ ha rotto il cazzo!!!
Ci potrebbe anche stare un’ennesima canzone d’amore, ma solo se offri un punto di vista nuovo, inedito, inaspettato. O al massimo mettici un testo poetico, di un certo spessore. Se invece scrivi una sfilza di banalità potrai sì fare allo stadio il pienone di ragazzine preadolescenti ma ciò non significa che hai scritto una bella canzone: solo che rispecchia il (basso) livello di coscienza di chi ti ascolta.
Che poi, mi stra-domando ogni volta (ma so già che nessun artista mi darà niente più che una risposta politicamente corretta, di circostanza): ma possibile che tutti ‘sti artisti parlano sempre e solo d’amore? Cioè, dalle loro canzoni sembrano delle donne mancate (avete presente, quelle che dicono ‘Faccio l’amore solo quando sono innamorata’?), sembra che siano la quint’essenza dall’amor cortese, della purezza d’animo, dell’uomo senza pisello.
Ora, oh voi cantanti, volete dirmi che se vi capita una modella nuda nel camerino e vi supplica di sculacciarla come se fosse una studentessa birichina, voi vi tirate indietro perché ‘O c’è amore o niente: piuttosto vado avanti a vita a pippe’?
Non è che magari, dico magari, siete invece come tutti gli altri uomini (sempre-ingrifati e pronti a saltar addosso a tutte le donne di media-alta buonezza) ma scrivete canzoni d’amore perché vendono di più di una che dice: ‘Oh ragazze ho fatto il cantante per trombare di più, con donne bone che me lo fanno tenere sempre su’ (ho fatto una rima… Sarò mica anch’io un cantante? Oh, adesso faccio una rima cuore-amore e aspetto le mie fan nel camerino)?.
Chiusa la parentesi-sfogo su questi cantanti tutti peace and much love.
Torniamo alla canzone.
Cosa ne penso, a parte il testo? Che il suo modo di cantare allungando le vocali è fastidioso, disturbante: mi ci è voluta molta forza di volontà per ascoltare l’intero pezzo. Poi ho preso la cassa e l’ho gettata fuori dalla finestra.
Peccato perché la musica non è male: a metterci un altro testo, un'altra voce, un altro tono (ok, cambiamo gruppo e facciamo prima) non mi sarebbe neppure dispiaciuta.
È che, ragazzi… Il testo fa proprio cagare. Che ve devo dì?

giovedì 3 dicembre 2015

'Il codice da Vinci' di Dan Brown


Se n’è parlato tanto, pure troppo, in questi anni.
Io l’ho letto tipo sette anni fa e, per ragioni non importanti da riportare, l’ho riletto ultimamente.
Faccio solo due appunti veloci.
-Tanto di cappello a Dan Brown come ha imbastito tutto il thriller che ci sta dietro, con indovinelli su indovinelli, con piste che sembrano sensate e poi invece sono fuorvianti, con colpi di scena in rapida successione in stile fumetto americano. Anche se è scritto in modo approssimativo (scrive bene ma non eccede. Però diciamo che per un libro del genere ci può anche stare: non credo che l’autore punti a vincere il premio Nobel per la letteratura).
-Avendo letto tanti libri (storici) sull’argomento Gesù posso asserire che l’autore non è un pirla si è informato approfonditamente sull’argomento. Voglio dire, si è documentato a 360% per quanto riguarda la religione cristiana e le sue mille sfaccettature oscure. Tanto di cappello a Dan che è riuscito a mettere decine (se non centinaia) di elementi provocatori (ma non per questo meno storici e realistici) nel suo romanzo mettendo al tempo stesso la punce nell’orecchio a chi ha creduto per partito preso a tutto senza porsi domande e a chi di domande se ne è fatte ma ha ricevuto solo domande approssimative dai sacerdoti.
Un libro, insomma, che tutti dovrebbero leggere con attenzione, ma con quell’attenzione di chi ammette che forse perché tanti credono in qualcosa non significa necessariamente che sia vera e che dietro una finta verità se ne nasconde una ben più sconvolgente e realistica.