lunedì 28 dicembre 2015

Everest


Partiamo dalle conclusioni (oggi mi gira così, va).
È un film che terrei nella mia videoteca personale? No.
Quindi è brutto? No.
Allora è bello? Ni.
Si lascia guardare? Certo, anche se deve piacere il genere (drammatico) e/o devi adorare la montagna.
Chiuse le conclusioni, passiamo alla recensione vera e propria.
‘Everest’ è un film tratto da una storia vera.
Trama: cavalcando l’onda dei viaggi-avventura, ecco che si aprono le frontiere nello scalare l’Everest anche ai non professionisti (basta avere i soldi e si arriva ovunque, no?).
È così che alcuni alpinisti (con  schiavi sottopagati uomini del luogo addetti al preparare il passaggio per i paganti) accompagnano nella scalata un gruppo di turisti, tra cui una donna (con due palle più grosse di quelle di Mike Tyson quando ha vinto il titolo mondiale di boxe). Peccato che durante la scalata una tormenta investe i nostri sfigati prodi avventurieri, con tragiche conseguenze per alcuni di loro.
Ci s’immedesima subito nei protagonisti e nel loro soccombere dinnanzi alla Natura (è lei che ne esce vincitrice, pur non vedendola salire sul podio… Hanno tagliato quello spezzone di film in quanto troppo strappalacrime). Pensare solo di essere a migliaia di metri d’altezza con nessuno che ti viene a salvare e con la neve che lentamente ti gela il corpo, fa rabbrividire (sempre per restare in tema…).
È palese l’attacco del regista a questa filosofia dei viaggi organizzati no-limits (anche se, ammettiamolo, vuoi mettere riunirsi dopo le ferie con gli amici e mentre gli altri se ne escono con ‘Io sono stato ad Ibiza’, ‘Io a Londra’, ‘Io a New York’, salti su e te ne esci con un bel ‘Io ho scalato l’Everest, SFIGATI!!!!’). Ma questo passa in secondo piano davanti alla drammaticità dell’intera vicenda e al perenne dubbio: ‘Chi morirà? Chi sopravvivrà? Scommettiamo un pacchetto di sigarette?’.
C’è da una parte l’aspetto eroico di chi vuole raggiungere la vetta e sentirsi padrone del mondo mentre dall’altro la natura che ride di questa patetica onnipotenza gridando loro un bel ‘Suuuuuca babbei!’.
Il film può essere diviso in due parte: la prima è più una presentazione dei personaggi e una preparazione all’impresa mentre la seconda è un ‘La morte ti ha quasi raggiunto: sei fottuto’. Entrambe hanno una loro ragione di esistere e realizzate in modo tale da non annoiare mai.
Non c’è nessuna storia d’ammmmmmore a rompere le scatole (ne uomini alla Brad Pitt senza magliette e con gli addominali al vento presenti solo per far sbavare le spettatrici), o comunque presentata in modo talmente marginale da non far venire il latte alle ginocchia agli spettatori. C’è solo la natura e l’uomo che vuole dominarla con frustino, completo sadomaso di lattice e vaselina pronta all’uso.
‘Ma allora se ti è piaciuto così tanto perché non entra nella tua videoteca?’, vi chiederete voi, baldi giovani lettori.
Perché, per quanto l’abbia apprezzato, trovo sia uno di quei film che si guardano una volta sola. Una seconda sarebbe eccessiva, almeno per me, estimatore di Marvel e di American Pie (nessuno è perfetto, no?).
Ergo, guardatelo perché sicuramente merita più di tanti altri film realizzati in questi mesi. E poi si vedrà.

martedì 15 dicembre 2015

Modà – E non c’è mai una fine


Ora, io la vedo così: ci sono gruppi/cantanti che fanno musica che abbraccia svariati aspetti della vita (vedi Ligabue, Dj Ax, Negrita, Max Pezzali) e altri che puntano solo alle ragazzine di 13 anni alla loro prima cotta adolescenziale e alle donne cresciute a pane e principe azzurro sul cavallo bianco.
Questi ultimi si riconoscono subito: sfornano canzoni straripanti di frasi fatte, patetiche e scontate. Le loro canzoni, ascoltate con un minimo di lucidità e di mente critica, fanno sorgere il dubbio che le abbia scritte una bambina di otto anni come omaggio ai suoi idoli Justin Bieber e One Direction.
Dai, ammettiamolo: la rima cuore-amore te l’aspetti da una ragazzina delle elementari, non da artisti famosi e stra-pagati (vedi Ramazzotti, Antonacci e D’Alessio).
Comunque, non divaghiamo su altri artisti. Torniamo sui Modà.
Un ascoltatore ‘che cerca di andare oltre’, vorrebbe apprezzare delle canzoni profondi, impegnate, che vanno al di là dei cliché e luoghi comuni stra-abusati e stra-usati. E che la mielens-patetica storiella ‘ti amo tanto, dove sei?, soffro tanto, ti amerò per sempre, torna presto’ ha rotto il cazzo!!!
Ci potrebbe anche stare un’ennesima canzone d’amore, ma solo se offri un punto di vista nuovo, inedito, inaspettato. O al massimo mettici un testo poetico, di un certo spessore. Se invece scrivi una sfilza di banalità potrai sì fare allo stadio il pienone di ragazzine preadolescenti ma ciò non significa che hai scritto una bella canzone: solo che rispecchia il (basso) livello di coscienza di chi ti ascolta.
Che poi, mi stra-domando ogni volta (ma so già che nessun artista mi darà niente più che una risposta politicamente corretta, di circostanza): ma possibile che tutti ‘sti artisti parlano sempre e solo d’amore? Cioè, dalle loro canzoni sembrano delle donne mancate (avete presente, quelle che dicono ‘Faccio l’amore solo quando sono innamorata’?), sembra che siano la quint’essenza dall’amor cortese, della purezza d’animo, dell’uomo senza pisello.
Ora, oh voi cantanti, volete dirmi che se vi capita una modella nuda nel camerino e vi supplica di sculacciarla come se fosse una studentessa birichina, voi vi tirate indietro perché ‘O c’è amore o niente: piuttosto vado avanti a vita a pippe’?
Non è che magari, dico magari, siete invece come tutti gli altri uomini (sempre-ingrifati e pronti a saltar addosso a tutte le donne di media-alta buonezza) ma scrivete canzoni d’amore perché vendono di più di una che dice: ‘Oh ragazze ho fatto il cantante per trombare di più, con donne bone che me lo fanno tenere sempre su’ (ho fatto una rima… Sarò mica anch’io un cantante? Oh, adesso faccio una rima cuore-amore e aspetto le mie fan nel camerino)?.
Chiusa la parentesi-sfogo su questi cantanti tutti peace and much love.
Torniamo alla canzone.
Cosa ne penso, a parte il testo? Che il suo modo di cantare allungando le vocali è fastidioso, disturbante: mi ci è voluta molta forza di volontà per ascoltare l’intero pezzo. Poi ho preso la cassa e l’ho gettata fuori dalla finestra.
Peccato perché la musica non è male: a metterci un altro testo, un'altra voce, un altro tono (ok, cambiamo gruppo e facciamo prima) non mi sarebbe neppure dispiaciuta.
È che, ragazzi… Il testo fa proprio cagare. Che ve devo dì?

giovedì 3 dicembre 2015

'Il codice da Vinci' di Dan Brown


Se n’è parlato tanto, pure troppo, in questi anni.
Io l’ho letto tipo sette anni fa e, per ragioni non importanti da riportare, l’ho riletto ultimamente.
Faccio solo due appunti veloci.
-Tanto di cappello a Dan Brown come ha imbastito tutto il thriller che ci sta dietro, con indovinelli su indovinelli, con piste che sembrano sensate e poi invece sono fuorvianti, con colpi di scena in rapida successione in stile fumetto americano. Anche se è scritto in modo approssimativo (scrive bene ma non eccede. Però diciamo che per un libro del genere ci può anche stare: non credo che l’autore punti a vincere il premio Nobel per la letteratura).
-Avendo letto tanti libri (storici) sull’argomento Gesù posso asserire che l’autore non è un pirla si è informato approfonditamente sull’argomento. Voglio dire, si è documentato a 360% per quanto riguarda la religione cristiana e le sue mille sfaccettature oscure. Tanto di cappello a Dan che è riuscito a mettere decine (se non centinaia) di elementi provocatori (ma non per questo meno storici e realistici) nel suo romanzo mettendo al tempo stesso la punce nell’orecchio a chi ha creduto per partito preso a tutto senza porsi domande e a chi di domande se ne è fatte ma ha ricevuto solo domande approssimative dai sacerdoti.
Un libro, insomma, che tutti dovrebbero leggere con attenzione, ma con quell’attenzione di chi ammette che forse perché tanti credono in qualcosa non significa necessariamente che sia vera e che dietro una finta verità se ne nasconde una ben più sconvolgente e realistica.

venerdì 27 novembre 2015

‘L’amore non è polenta’ di Fausto Bertolini


… E poi accade che ti capita tra le mani un libro e lo compri giusto perché è usato e costa poco, pochissimo, pensando sia uno di quelli che usi per conciliare il sonno alla sera tarda e invece già dalle prime pagine scopri che merita più di tanti altir che hai letto in questi mesi.
Già, perché ‘L’amore non è polenta’ è divertente, realistico, originale, triste, malinconico e scritto maledettamente bene. È uno di quei libri che mi fanno pensare:‘Cazzo avrei voluto scriverlo io!’.
Ma di che cosa parla? È la storia di un sessantacinquenne neo-pensionato che passa le giornate tra la bancherella di libri che gestisce e il padre novantenne ormai fisicamente e mentalmente provato. Il protagonista però sogna il vero amore (o meglio, l’amore ma con una dose massiccia di sesso come contorno). Essendo anni che non sta (biblicamente) con una donna, si iscrive ad un’agenzia di cuori solitari che gli organizza degli incontri tragicomici con donne (anziane). Da questi incontri paradossali l’uomo trae le sue conclusioni sulla vita e sull’amore (e sulla difficoltà di trovarlo) fino a giungere al lieto (ma anche triste) fine.
Ciò che colpisce di più di questo romanzo è la prospettiva da cui viene narrato, ovvero di un pensionato che ha ancora tanta voglia di dare (sia affettivamente che sessualmente), con quell’ironia (e quella voglia di sesso) che ricordano più un ragazzino che non un uomo di una certa età.
Brillante, audace e scanzonatore, il protagonista oscilla tra il voler ‘pucciare il biscotto’ al cercare il vero amore (dove finisce uno e inizia l’altro? Mah…).
Da una parte fa sorridere questa sua voglia ‘di sparare ancora colpi’ (e fa sperare che avremmo anche noi, alla sua età, lo stesso desiderio ed energia) dall’altra però rattrista la sua consapevolezza di essere un uomo ormai anziano che ha paura di restare solo fino alla fine, dato che figli non ne ha (e un padre sulle spalle non migliora la situazione).
È certo un libro che fa divertire ma anche riflettere su come ad una certa età le energie vengono meno e la solitudine è una bestia difficile da gestire quando il corpo incomincia a dare segni di cedimento (età degli acciacchi, delle malattie, delle piccole incombenze economiche da pensionato, di non avere una spalla su cui contare ora che ogni ostacolo è un peso sempre più grande e gravoso).
Ma pur essendo un libro tutto sommato leggero è scritto bene, forse fin troppo: l’autore se ne esce con termini, frasi e romanzi sconosciuti ai più (ciò rallenta leggermente la lettura ma d’altro canto mostra quanto sia acculturato lo scrittore) ma ciò non pregiudica comunque lo scorrimento della storia. Pur passando per leggero (da spiaggia) nasconde in realtà una scrittura arguta e fine e un sotto testo che fa riflettere.
È uno di quei romanzi che sia l’uomo di mezz’età che il giovincello dovrebbero leggere in quanto entrambi troveranno sicuramente spunti di riflessione.
Consigliato. E ho detto tutto.

martedì 17 novembre 2015

Fury


Per quanto non mi piacciano un granché i film di guerra (mi rimandano sempre alla conclusione che l’uomo è proprio un essere stupido) ciò non toglie che li guardo perché anche in essi trovo qualche spunto di riflessione interessante.
Comunque, parliamo di Fury, film incentrato su un carrarmato e i suoi occupanti, in giro per la Germania nella seconda guerra mondiale.
Ci sono i classici cliché caratteriali dei personaggi: quello cagasotto, il capo figo autoritario ma sensibile e i soldati ‘capatonda’ che pensano solo a scopare superficiali e rissaioli. E poi c’è la guerra, con il suo odio, la sua violenza gratuita e la sua insensatezza.
Il carrarmato è solo un escamotage per raccontare la guerra da una prospettiva inusuale (e per mostrarci la spettacolarità di certi scontri, dove ovviamente l’americano figo e cazzuto ne esce vincente). Si alternano così momenti di azione seguiti da istanti di calma apparente (vedi il ‘pranzo’ nel villaggio).
In film parte bene e continua meglio, con scene che riportano alla crudeltà della guerra e fanno assaporare l’amaro sapore di come ci si deve sentire a viverla, ad esserci dentro.
Il film merita di essere guardato soffermandosi sull’assurdità di ogni conflitto passato, presente e futuro, e su come questo lascia tracce indelebili in chi l’ha vissuto.
Peccato che si concluda il tutto con la solita puttanamericanata in stile Mission Impossibile. Lo scontro finale  è esagerato e paradossale, cozzando così con il resto del film iper-realistico, e gli americani fanno come al solito la figura dei supereroi che, con uno stuzzicadenti, una limetta per le unghie e ballando la mazurca con i polsi legati, sgominano i nemici.
E concludo aprendo una parentesi: ma c’era proprio bisogno di mostrare Brad Pitt a petto nudo? Voglio dire, era funzionale alla storia quella scena? O forse è stata messa solo per far sbavare le ragazze/donne in sala? Sì, lo so, brutta bestia l’invidia J

lunedì 9 novembre 2015

inside out


… E poi guardi un film d’animazione e ti accorgi che a volte anche tra i ‘cartoni’ si trova un piccolo capolavoro, non tanto in trama ma com’è stato imbastito il tutto, come hanno concepito il mondo in cui è tutto ambientato e come tante, piccole situazione ed idee sono metafore di qualcosa di più profondo e su cui riflettere.
‘Inside Out’ è un film per bambini ma con un occhio di riguardo agli adulti, un film che può essere visto a più livelli, uno più profondo dell’altro. E non ci vuole un genio o uno psicologo per capire che dietro a questo film c’è molto più di ciò che mostra in superficie (un banale ‘tentativo di tornare a casa’ dei due protagonisti costernato di difficoltà ed imprevisti).
Se lo si guarda come un qualsiasi film d’animazione, questo scorre veloce senza nessun momento di noia: i personaggi sono ben definiti e anche i comprimari (tanti) non sono lì ‘tanto per’ ma hanno una loro utilità e caratterizzazione.
Ci sono momenti divertenti, avventurosi e commoventi: tutti elementi ben amalgamati, come solo la Pixar sa fare, e al loro giusto posto nell’universo narrativo.
La grafica è ciò che si aspetta da Pixal: pulita, essenziale, d’impatto e ottimamente realizzata (pur mantenendo gli standard del film d’animazione per bambini, ovvero molto fumettoso e colorato).
… E poi ti stupisci di come forse la mente umana si muove proprio così e basterebbe dare più libertà ad una emozione e a ciò che comunica per essere un po’ più sereno e felice ma senza dimenticare le altre, che in fondo sono parte integrale di noi e ci danno a loro modo ciò di cui abbiamo bisogno per crescere.
‘Inside out’ è una grande metafora di cosa si muove dentro di noi, di cosa possediamo e abbiamo dimenticato e di come quest’ultimo sia comunque servito a formarci. Un affresco in fondo leggero e simpatico di un concetto profondo e complesso quanto è appunto la nostra mente e le nostre emozioni in subbuglio.
Non ho molto altro da aggiungere se non che è uno di quei film che meritano di essere guardati: una volta con gli occhi del bambino divertito e l’altro dell’adulto che cerca di leggervi concetti profondi e rivelatori.

domenica 1 novembre 2015

'Un cuore pensante' di Susanna Tamaro


Ultima fatica letteraria di Susanna (che non ha fatto altro che prendere degli articoli che ha scritto per l’Avvenire, sviluppandoli… Astuta la ragazza: non si butta via niente, no? Ecologica anche nello scrivere, non c’è che dire). Raccoglie pensieri, riflessioni, emozioni e ricordi del suo passato, usando sempre il suo stile che la contraddistingue (delicato, arguto, sensibile, un po’ da precisina della fungia, se vogliamo).
Passa dalla natura a quando era bambina a Dio alla sua famiglia alla vita alla società… Senza mai sfiorare l’argomento sesso (io ne ho letti di suoi libri: e che io ricordi non ne fa amai cenno. O almeno, non al punto da farmi gridare:’Oddio ne ‘sta parlando: emozione!!!!). In questo romanzo azzarda solo una cotterella adolescenziale per un ragazzo ma senza entrare nei particolari. E ciò mi ha sempre stupito. Voi no? Voglio dire, racconti tutta la tua vita e non parli mai never manco per ‘u cazzo dei tuoi rapporti amorosi? Va bene la riservatezza… Ma se parli di fatti ben più privati ed incresciosi (vedi il rapporto con i genitori), perché non sbilanciarsi anche col sesso?
Ma vabbè, questa è una mia considerazione trasversale (non che m’interessi sapere quante volte si è fatta sculacciare o si è fatta possedere sopra una lavatrice industriale in funzione a massimo regime; è solo una mia lecita perplessità di lettore).
Per quanto riguarda il libro, lo stile è sempre il suo: c’è a chi piace e chi non lo sopporta. Personalmente quando leggo la Tamaro capisco che è una donna a scrivere, con una certa sensibilità a volte mielosa (un po’ troppo da figlia dei fiori peace and love amiamoci tutti ma solo per vie platoniche of course) e a volte un po’ troppo tra le nuvole. Ciò che mi ha pesato di più nella lettura è il suo continui rimando a Dio, con cui pur mantenendo le distanze, lo tira in ballo un po’ troppo spesso e in un modo talmente poetico e ‘da fervido credente’ da farmi venire il latte alle ginocchia.
A conti fatti, secondo me il problema maggiore di chi condivide i suoi pensieri ed episodi del passato è quanto questi possano interessare agli altri. Mentre in un racconto si può mantenere un certo pathos e suspance costruendo una storia articolata ed intrigante, raccontando la propria vita o è veramente stata avventurosa o è una ‘vita tra le tante’ (certo, con qualcosa che magari non è accaduto agli altri ma non così eclatante da attirare l’attenzione). Bene, la Tamaro rientra nella seconda categoria.
Senza contare i pensieri dello scrittore: quanto possono essere rivoluzionari, quanto danno nuovi punti di vista, quanto destabilizzano i lettori mostrando una realtà insolita per loro? Se lo sono poco o niente risulteranno noiosi (un po’ come quelli che su FB mettono il loro ‘pensiero della sera’ convinti di stupire o commuovere o coinvolgere, mentre alla fine è solo un ‘già sentito dire migliaia di volte’ che annoia e stanca). Anche qui la Tamaro vacilla (certo, è difficile dire qualcosa di nuovo; ormai si è già detto tutto. Quindi non resta che ribadire ciò che sanno già tutti ma in modo più accattivante. C’è a chi basta questo e chi non si accontenta. Voi a quale gruppo appartenete? Se siete nel secondo, lasciate perdere questo libro).
Ma allora è un libro da buttare?
No, perché tutto sommato qualche bella verità la si trova, qualche ‘già letto’ ma scritto in una maniera migliore spunta fuori in questo centinaio di pagine, qualche episodio della sua vita incuriosisce. Certo, deve comunque piacere la Tamaro altrimenti il suo stile narrativo induce sonnolenza. Ho dovuto leggere il libro in due trance perché, lo ammetto, mi stava annoiando (e il discorso religioso, infastidendo (ma questo è a causa del mio rapporto ‘travagliato’ con la religione) e considerate che io sono, diciamo, un fan di Susanna).
Ergo, un libro che può piacere ma solo se si è appassionati di questa scrittrice. Mentre gli altri dovrebbero, prima di questo, leggerne altri.

lunedì 26 ottobre 2015

Dragonball Z: la resurrezione di F

Seriamente, più fanno film su Dragonball e più diventa imbarazzante guardarli.
Voglio dire, quelli della mia generazione sono cresciuti a Cavalieri dello zodiaco, Kenshiro e Dragonball… Ecco spiegato perché certe sfrontatezze a dei mostri sacri di cartoni non si devono fare per nessuna ragione, previo linciaggio pubblico nella piazza del paese (vogliamo parlare della sigla di Lupin scritta da Moreno? No, dico, vogliamo proprio parlarne? Vogliamo che si levi un bestemmione nazionale udibile quasi in Groenlandia se gli abitanti non avessero le orecchie tappate dal cerume ghiacciato? Perché è risaputo, centinaia di anni fa sono state create le bestemmie unicamente in previsione di questa sigla e dell’impatto che avrebbe avuto su tutti noi fan (di Lupin, non certo di Moreno).
Comunque, non divaghiamo.
Cosa ne penso dell’ultimo film di Dragonball?
Orbene, bastano solo i primi trenta secondi a bollarlo come enorme puttanata offesa verso tutto ciò che di epico ed emozionante c’era in Goku and C.
Mentre i film normali di azione e di supereroi cazzuti si aprono con almeno quattro scazzottate, un paio di esplosioni e qualche grattacielo che crolla (vedi ad esempio fast and furious 7 o gli Avengers), Dragonball si apre con dei pupazzi in versione orchestra Casadei con tanto di fatine che svolazzano allegramente intorno ad un albero.
Ora, puoi tu amabile cazzone ingenuo sceneggiatore incominciare un film del genere con degli orsacchiotti? Io capisco che un po’ di pirlaggine in Dragonball c’è sempre stata, ma ti ricordo che gli allora bambini che seguivano il cartone adesso sono adulti e si aspettano che si sia evoluto anche il contesto e le atmosfere (il fatto che io a tre anni guardavo i Teletubbies non significa che a venti me li riproponi nella stessa salva: se vuoi mantenere dell’entusiasmo dell’allora tuo piccolo fans, minimo adesso dovrebbero essere in versione horror, ovvero che si sbranano fra di loro, con il bambino/sole che defeca sulla loro testa perché si è strarotto di sentire i loro nomi di merda e vuole vendicarsi cambiando il colore della loro pelliccia).
Poi, passiamo oltre: ok l’idea di Freezer ma imbastiamo una trama un po’ più complessa del ‘Adesso sono tornato e mi vendico, vado sulla terra e ammazzo tutti. Visto che genio che sono?!?!?’.
Che, ribadisco, ci potrebbe anche stare per un pubblico di cinque/sei anni. Ma già quelli di sette vogliono qualcosa di più complesso. Figuriamoci quelli di venti/trent’anni!
E ancora, i più babbi di minkia del pianeta (in rapporto a potenza con Freezer) vanno a combatterlo e (mini-spoiler) tu Crilin dici ad androide 18 (che è ben più potenti di tutti quelli che combatteranno contro il nemico messi insieme) di restare a casa… E lei accetta pure? Ma quando mai persona/robot minimamente intelligente concepirebbe una soluzione simile? (chiuso mini-spoiler).
Ma poi, puoi far combattere Gohan in tuta da ginnastica? E’ come guardare Platinette in autoreggenti e completino di pizzo: non si può guardare, per Dio! Cioè, passa da ragazzino stra-cazzuto a pantofolaio accasato? Ma sparatevi tutti!
Senza contare che per la maggior parte del tempo i personaggi si comportano da veri imbecilli (specialmente i due ‘allenatori’ di Goku: divinità idiote patite di dolci… Ma ci siete o ci fate?).
E vogliamo parlare della trasformazione di Goku e Vegeta? Siamo passati da un super sayan stracappellone a… un punk sfigato? Ma invece di evolvere regrediscono? Ma allora mettetevi pure la tuta da Sailor Moon e il marsupio di Doraemon!
Ma poi (mini-spoiler): manco una fusion fate? Ma fatene almeno una con un chiwawa così ci facciamo almeno quattro risate! Manco quella (chiuso mini-spoiler).
Un’ora e mezza di film di cui più di un’ora a tergiversare e a fare qualche misero combattimento (anche se ho apprezzato come i personaggi secondari hanno usato le loro ‘armi speciali’ contro i nemici, in ricordo dei nostalgici vecchi tempi) arrivando così al combattimento clou che si è già così delusi, amareggiati, incattivati e annoiati e cazzounfilmdecentedigokumai,perDio? che ogni cosa facciano di spettacole ed avvincente (poca roba comunque) passa in secondo piano.
Peccato perché dovrebbero sfruttare meglio le potenzialità di questo cartone storico.
Morale: se proprio non potete farne a meno e volete darci un’occhiata, saltate tutta la prima parte e guardatevi il combattimento finale. Almeno avrete avuto la parvenza di vedere un film passabile.

giovedì 22 ottobre 2015

Zine! n.17

E' uscito il nuovo numero di Zine!
 

Accorrete numerosi perché c'è una mia intervista ai Paguri (vi dice niente 'Don Zauker' e Nirvana'?) e un mio racconto breve.
Potrete leggere la rivista a questo indirizzo: http://issuu.com/fumettisulweb/docs/fsw_zine_16

lunedì 19 ottobre 2015

Capodanno 2015 con Gigi D'alessio


Ora, chiariamo che io non sono contro Gigi D’Alessio (lo dimostra il fatto che alcune canzoni non mi dispiacciono neanche poi tanto) è il criterio con una rete nazionale mette lui e sua moglie (gnocca quanto vuoi ma non certo il non plus ultra della soubrette/spalla/conduttrice) a condurre lo show di Capodanno che mi lascia perplesso.
E ancor peggio mi turba accorgermi di come un duo del genere l’anno scorso ha fatto un botto di spettatori. Voglio dire, se l’han fatto loro, cosa diavolo hanno proposto come ‘valida’ alternativa le altre reti (probabilmente dei film dei Vanzina, una rassegna di documentari del dopoguerra in russo con sottotitoli in spagnolo, un concerto di nacchere, un coro di ultracentenari trasmesso dall’ospizio di Sannazzaro de Burgondi e una televendita di supposte per rinoceronti stitici).
Ma metteteci Luca e Paolo con la Littizzetto o i comici di Zelig o un Ligabue e un Vasco (certo, magari gliel’hanno anche proposto ma loro gli avranno anche riso in faccia:‘Dai, siamo seri, noi siamo veri artisti! E dopo il Capodanno cosa ci proponete di fare, l’Isola delle stelle cadute nell’oblio? Ché un’artista ha anche una sua dignità, eh’.
È come se proponessero alla Pausini di cantare il jingle della pubblicità degli assorbenti interni o a Umberto Eco di scrivere la sceneggiatura del prossimo cine-panettone o al Papa di benedire una coppia di gay che si sono tatuati sulla fronte ‘666’. Dai, siamo seri!!!
Tutto questo per dire cosa: che io come l’altro anno neppure per sbaglio capiterò sul Capodanno della famiglia D’Alessio e intanto temerò di sapere il share quant’è stato.

martedì 13 ottobre 2015

pixel


Parliamone: uno lo sa che se va a vedere un film del genere non si può aspettare nulla di buono e che uscirà dal cinema pensando di aver buttato nel cesso otto/dieci euro. Dato che già che c’è ‘l’uomo flop-movie Sandler’ come attore è sinonimo di film pessimo. Se poi te lo trovi anche come produttore è la morte del cinema.
Ma fa proprio cagare ‘sto film?
Beh, diciamo che mi ha fatto lo stesso effetto di tutti i vari cine-cagata-panettoni italiani: Natale a Beverly Hills, Natale a Miami, Natale a Rio, Natale a Chemerdadifilm York. Disgustorama.
Rientra tra quei film che guardo quando ho problemi di stitichezza e ho bisogno di quella marcia in più per andare di corpo.
Il problema vero e proprio è che vanno a prendere delle pietre miliari degli anni ’80 che hanno un potenziale enorme, smisurato… E ci gettano sopra palate di letame (senza neppure un misero Arbre Magique a coprire un minimo l’odore).
Giocano sulla nostalgia di chi li ha vissuti a pieno regime quegli anni… Ma rovinano tutto con una trama veramente troppo debole e stupida per fare colpo. Che ci può anche stare la trama esile se solo poi la infarcisci di gag esilaranti, raffiche di rimandi al passato e nostalgie canaglie a palla… Invece no, è un susseguirsi di battute deboli, scene scontate e dinamiche che sai già dove andranno a parare.
Qualche idea originale non è neanche da buttare (le auto di vari colori che rappresentano la versione reale dei fantasmini di Pac-man mi ha fatto sorridere) ma non è sufficiente.
Non è tanto che sia un film stupido. È che lo è andando a toccare i mostri sacri del nostro passato: questo è un affronto, un colpo basso, una bastardata.
Che dire, un film che non andrei a vedere al cinema manco se mi regalassero il biglietto (forse se mi pagassero, ma solo se posso nel frattempo ascoltarmi della buona musica con l’mp3 e navigare sul mio cellulare per tutto il tempo), che mostrerei al mio peggio nemico come strumento di tortura per estorcere informazioni segretissime e che userei ogni qual volta i problemi di stitichezza raggiungessero livelli pericolosi per la mia salute e ho bisogno di un rimedio rapido e invasivo per risolverli.
Il definitiva: se volete mantenere un bel ricordo dei tempi andati, non guardatelo. Altrimenti rischiate che ogni volta che ripenserete alle vostre giornate di ragazzi passate in salagiochi si sovrapporrà qualche scena di Pixels, il quale annienterà i bei ricordi e vi farà crescere solo il desiderio di uno sterminio di massa in uno studios americano.

venerdì 9 ottobre 2015

Sense8 dei fratelli Wachowski


Ho reazioni controverse riguardo a questo telefilm, quanto un ragazzo che si porta a casa una stragnocca e, una volta spogliata, scopre essere un travestito.
L’idea di base della serie mi piace: otto persone nate e cresciute ai quattro angoli della terra sono legati da una connessione telepatica che li fa interagire tra loro nei modi più disparati. Mentre le loro vite proseguono tra alti e bassi, tra colpi di scena alla Beautiful e vite ordinarie da comuni mortali, alcuni loschi individui cercano di mettere loro i bastoni tra le ruote.
Apprezzo anche lo sbatti di aver studiato usi e costumi di paesi diversi dalla loro America (per dirne alcune, di Seul, Mombai, Berlino e Messico).
Senza contare che le puntate sono scorrevoli e succede sempre qualcosa che tiene alto l’interesse.
Però… Però in fondo è un Arrow(il nemico numero uno di tutti i telefilm dei supereroi che si rispettino, colui che ha fuso l’universo DC con l’universo Cento Vetrine ottenendo sullo spettatore lo stesso effetto di un una diarrea lancinante in un luogo affollato di persone e senza vie d’uscita). È in fondo una telenovelas con qualche accenno di telepatia e scena di sesso (anche se: va bene qualche pisello al vento… Se però mi offri una controparte di nudo femminile. La par condicio ci starebbe bene anche qui, non trovate?).
Ci si aspetterebbe un’introduzione dei personaggi nelle prime 2/3 puntate e poi un’escalation di azioni, dove la connessione tra le persone domina e porta a colpi di scena sempre più spettacolari e da supereroi. Non certo un girare intorno alle vite amorose e lavorative dei protagonisti, dove la telepatia è solo marginale e a volte ininfluente allo sviluppo della storia. Non certo la presenza di un cattivo e un buono che conoscono la vera natura (e pericolosità) di questi ‘sensate’ ma fanno poco o niente per movimentare la storia. E senza contare che otto protagonisti sono tanti se atti a riempire la prima serie di episodi da soap opera argentina.
Sarà che io sono un figlio di Heroes e quindi ciò che riguarda i supereroi e poteri affini implica necessariamente scazzottate e una raffica di colpi di scena spettacolari. Non certo scaramucce sentimentali da ‘la casa nella prateria’. Ecco perché questo telefilm non mi ha preso appieno.
Mischiare certi generi è sempre un rischio e chi è per ‘O tutto o niente’ non resterà soddisfatto di questo telefilm. Ciò non toglie che si lascia guardare decisamente di più di altri telefilm di questi ultimi anni (ribadisco, come Arrow: la nemesi dei telefilm dei supereroi).

martedì 6 ottobre 2015

Terminator genesys


Uhm uhm uhm. E ancora uhm.
Giudicare terminator genesys rapportandolo ai suoi predecessori è come paragonare un piatto di pasta cucinato in un ‘all u can eat’ cinese con quella della propria mamma: si lascia mangiare ma non è la stessa cosa.
Quindi bocciato in partenza? Ni.
Da una parte… Ehi, ma è Terminator con il buon vecchio Schwarzy!!! Si prova la stessa nostalgica emozioni di quando si è visto l’ultimo Rocky o Rambo solo perché c’era Sly. È come rispolverare i vecchi ricordi di quando quegli attori erano grandi, grossi, atletici e cazzutti mentre impersonavano quelle che sarebbero diventate icone del cinema: il robot spaccaculi, il pugile sfigato con la moglie stra-ultra-cessa che diventa un campione o il veterano che si rattoppa la ferita col punto-croce. Sono i personaggi che hanno fatto la storia: intoccabili.
Ecco perché è difficile giudicare questo film.
Le prime scene, dove lui combatte le sue nemesi dei primi due film, è da strappalacrime: avanti nostalgia canaglia, prendimi e portami via. Poi Schwarzy che fa battute sulla sua veneranda età ci sta proprio bene (come lo sono i suoi ‘sorrisi robotici’).
Poi c’è il colpo di scena sul figlio di Sarah (che per me è stato tale in quanto non avevo visto manco un trailer ma chi l’aveva fatto se l’è trovato spiatellato davanti mandando tutto a ‘donnine della notte’) che porta la trama ad acquistare uno spessore diverso dal previsto. Ci sta. Anche se le pecche logiche fioccano dal cielo, soprattutto se cerchiamo la coerenza con i primi due film della saga.
Quello che infastidisce di più è la scelta dei suoi coprotagonisti, ovvero quelli che interpretano Sarah e Kyle; infatti non ci azzeccano un accidenti. Soprattutto Sarah che dovrebbe essere cazzutissima, una scaricatrice di porto all’ennesima potenza, colei che porta i pantaloni in casa terminator. Ci prova, dai, ma non funziona. È proprio fuori posto. E questo fa perdere pathos alla storia.
Senza contare che se una madre vede il proprio figlio fare il ‘birichino’, dovrebbe almeno dispiacersene o tirargli le orecchie per bene. Invece non si dà sufficiente spessore a questo aspetto (che trovo quantomeno essenziale). Mah.
Per il resto, è il classico film pieno di effetti speciali, scazzottate ed inseguimenti (ovvero ciò che ci si aspetta da un film del genere).
Forse è proprio questo il punto: se lo si guarda pensando sia un film d’azione come tanti, può anche essere apprezzato. Se invece lo si ricollega al filone Terminator invece non regge il confronto (specialmente con i primi due film). Certo, difficile farlo, ma credo ci si potesse almeno provare, fare di meglio. Giusto un pelino di più (anche solo mettere co-protagonisti convincenti).
Un film, in definitiva, che si lascia guardare senza infamia e senza lode. Se vi soffermate più su Schwarzy e meno sui co-protagonisti, se non state troppo a porvi domande sulle pecche logiche della trama, se non vi soffermate dubbio sullo strano non-rapporto madre e figlio, allora potrebbe piacervi questo film. O almeno non desiderare di andare nel passato per dare fuoco (usando i fogli del copione) a tutti coloro che hanno partecipato al film.

martedì 29 settembre 2015

I fantastici quattro



Perché?
Ma perché?
Spiegatemelo: perché?
Come puoi tu, major cinematografica, aver potuto accettare una sceneggiatura simile? Come hai fatto ha sborsare così tanti soldi per realizzare ‘sto film? Ma soprattutto, ma sei fuori a voler produrre anche un seguito????
Io capisco che vuoi fare una versione Ultimate dei FF (per chi non lo sapesse, l’universo Ultimate è un parallelo a quello ‘classico’ della Marvel, dove sono stati ripresentati tutti i supereroi in veste moderna, raccontando le storie dalla loro genesi: praticamente un reboot fumettistico) ma fallo almeno bene, per Dio!
Il discorso è questo: se fosse uno dei tanti film dove s’inventato un supereroe è un conto ma toccare i fantastici quattro e buttarli nel cesso è un’offesa al buon gusto. Piuttosto non farlo!
Partiamo subito dall’inizio a demolirlo: il film ci mostra Reed ragazzino che costruisce un teletrasportatore, lo aziona (e funziona pure!) davanti ai suoi professori… E questi lo insultano pure, lo prendono per il culo???? Ma quando mai? Cioè se avesse costruito una lavagna di sughero avrebbe riscosso maggior successo. Va bene uscire dagli schemi, ma la coerenza prima di tutto. Infatti, già da questa prima scena si capisce che il film sarà una cagata colossale.
Poi, già che mi fai la torcia umana di colore fa storcere il naso (niente razzismo, chiariamolo: è solo che la torcia umana è SEMPRE stata bianca, anche nell’universo ultimate. Non puoi stravolgermi certi pilastri narrativi e di immaginario collettivo. È come se mi raccontassi la storia di Gesù ma con lui nato in Giamaica, con i capelli rasta e che inneggia all’amore e alla cannabis. Sì, è anche divertente pensarlo… Ma se fai una storia che fa ridere. Se vuoi mantenere un minimo di serietà, non ci azzecca un emerito, giusto?).
Ma vabbè, questo è il minimo.
Poi mi dici che la donna (ragazza) invisibile è del Kosovo ed è stata adottata. E vabbè. Mi stravolgi le origini mettendoci dei protagonisti adolescenti babbi di minchia. E lasciamo passare anche questo. Poi zero storia d’ammmmore tra Sue e Reed, niente fantasticar, niente spazio dove acquistano i poteri ma lo ottengono su un altro pianeta, niente Destino sfigurato e niente arti magiche, Sue che prende i poteri… di striscio (ma perché??????), niente ‘etichetta’ fantastici quattro fino a… (niente spoiler) e così possiamo andare avanti all’infinito trovando le incoerenze tra i fumetti e il film.
Ok, ci sta anche lo stravolgere tutto se questo rende più funzionale ed inaspettata la trama (anche se un po’  mi girano comunque i cosiddetti…) però fino ad un certo punto: oltre ci spostiamo sulla fanta-puttanata e sul cadono minkiate a catinelle!
In primis per la scelta dei personaggi che non reggono i loro ruoli: Reed ha proprio la faccia di un babbo di minchia (ok che deve essere un secchione… Ma questo qui ha l’aria di un coglione da prendere a calci nel culo da mattina a sera fino a farsi venire i crampi al piede! È un secchione che cerca di fare il fighetto: il non plus ultra dello squallore), Sue è una spocchiona presuntuosa cagaca..o precisina della fungia ma tendenzialmente sfigatella (che tra l’altro, deve reggere il confronto con Jessica Alba… No dico, JESSICA ALBA: è come paragonare un monolocale alla reggia di Versailles e pensare di avere pure qualche chance), la torcia è un coglioncello ma meno di quanto dovrebbe essere (la torcia è il fighetto del gruppo, è quello sesso-donne-auto-party-divertimento a go go, relegato in questo film a fare una gara in auto e meccanico tuttofare… No comment va) e la Cosa infine sembra una barretta dietetica andata a male (senza contare il suo spessore nel film. Va bene che la Cosa è fatta di, diciamo, roccia, ma questo non vuol dire che deve restare immobile in un angolo a fare la bella statuina?). Ma soprattutto, Dottor Destino… Ma vogliamo scherzare??? Va bene modificare qualcosa del suo aspetto… Ma così è troppo! Non solo è brutto con quelle sfumature fosforescenti verde che lo fanno molto ‘Febbre del sabato sera’ ma non c’entra un emerito con il vero Destino. Così fa proprio cagare!!! Cioè, dovrebbero mettere la sua foto nelle confezioni di lassativo al posto delle pastiglie: apri la confezione, guardi la faccia di Destino e vai che è un piacere!
Ora, capisco che realizzare un film di supereroi di un’ora e mezza riduce certe dinamiche narrative: è normale sacrificare qualcosa… Ma non deve essere a discapito dello spessore dei personaggi! E questo per cosa? Per riempire la prima metà del film non il niente. Hanno usato quello spazio prezioso riempiendolo di puttanate, perdendosi in situazioni inutili e a volte fuori luogo.
Poi nella seconda parte si accelera un po’, raggiungendo l’apice alla fine (tradotto: ‘Cazzo abbiamo fatto un film di supereroi e ci siamo dimenticati di mettere gli effetti speciali e le botte da orbi. Ok, dai, ci sono rimasti gli ultimi cinque minuti: usiamo almeno quelli’). Ma lo scontro finale non soddisfa, lascia perplessi come il resto del film.
Capisco anche i problemi di budget… Ma a realizzare una caratterizzazione dei personaggi migliore, dar loro più spessore, o una migliore sceneggiatura non servono più soldi: serve solo che lo sceneggiatore faccia il suo dovere.
La realtà? Un film che non decolla. Il discorso è: o me ne fai uno con uno spessore psicologico della Madonna (vedi Batman) o giochi sull’ironia (I guardiani della galassia e Ant-man) o mi fai un film d’azione stracazzutissimo (vedi gli Avengers). Un ibrido realizzato tanto per seguire l’onda del successo dei supereroi ma con un budget ridotto ai minimi storici e con sceneggiatura debole non può reggere il confronto, ammettiamolo.
Ma fa così cagare? No, se lo fate vedere ad un bambino di sei anni (mostrandogli ovviamente solo la scena finale: ovvero quei due minuti di combattimenti). Sì, se già lo guarda uno di sette.
Morale: a malincuore (perché è pur sempre un film di supereroi Marvel) non posso che aggregarmi al resto dell’umanità e dichiarare che è proprio brutto, sotto tutti gli aspetti.
Se volete guardarlo fatelo. Ma non merita neppure la corrente per scaricarlo col mulo.

venerdì 25 settembre 2015

Minions


Ci sono cose che imbarazzano l’umanità intera. Ad esempio il successo di ’50 sfumature di puttan di grigio’ o ‘Twilight’ o che i Minions abbiano fatto così tanto successo, al punto che c’è chi sta facendo la collezione di tutto ciò che trova in commercio (un po’ come quelle ragazze che comprano tutto di Hello Kitty… E poi ditemi che siamo ancora gli esseri viventi più intelligenti ed evoluti del pianeta…).
‘Minions’, un film che ha attirato più adulti (ragazze e donne, of course) che bambini.
Ma com’è ‘sto benedetto film? Presto detto.
Iniziamo dalla cosa che più mi ha dato fastidio: la voce fuori campo che all’inizio spiegava e spiegava e spiegava… L’ho trovato insopportabile e fuori luogo, superfluo. Se almeno avessero messo la voce del Gabibbo sarebbe stato un minimo simpatico. Ma così… Noia mortale.
Poi si passa al film vero e proprio.
Ora, le aspettative di tutti erano enormi, merito di ottime clip e trailer… Peccato che, come al solito, si butta nei trailer il meglio del film senza lasciare altro di altrettanto divertente e d’impatto. Un po’ come quando in un film d’azione ti fanno vedere tre minuti di trailer dove ci sono scazzottate, lotte, palazzi che esplodono e pianeti che collassano… Poi vai al cinema e scopri che il resto del film è ambientato in una stanza con due che mentre bevono il the raccontano di quando da piccoli si scaccolavano… Non si fa, no no.
Sul doppiaggio non mi pronuncio perché non sono di quelli che si sofferma molto sulla cosa. Ma ho letto tanti commenti negativi a riguardo. Eh vabbè.
Ma quindi, mi chiederete: il film fa cagare?
No, se si guarda nella giusta prospettiva, quella della leggerezza, del disimpegno, del ‘torniamo bambini e stacchiamo la nostra mente cagacaz… e di precisini della mink… da adulti critici’.
La storia scorre veloce, con tante scene d’azione ed imprevisti che non annoiano mai.
I tre personaggi sono tenerissimi e certe scene fanno sciogliere. Mi è piaciuto un sacco la loro caratterizzazione, specialmente quella di Bob, che ho trovato adorabile (è un puro di cuore… Lo dimostra alla fine con la cattivona di turno… Candido lui).
Il loro linguaggio fa morir dal ridere: è buffo e cercare di capire la lingua di ogni parola pronunciata è un’impresa divertente ed impegnativa.
Lo scontro finale mi è sembrato un po’ sopra le righe, un po’ da film d’azione di spantegoni americani. Ma ammetto che, essendo un film d’animazione comico, ci si può permettere di esagerare fino all’estremo.
Poi, essendo ambientato negli anni ’60 ci sono tanti rimandi ai personaggi che hanno fatto la storia (fantastica la scena con una band inglese di quegli anni… Geniale) e alla colonna sonora. Ma ci sono anche strizzate d’occhio a film di fama mondiale (vedi ‘Rambo’ in primis, per dirne una che salta subito all’occhio).
Infine per quanto riguarda la grafica devo ammettere che spacca: certe scene e scenari sono fatti da Dio (si vede che ne avevano di soldi da usare per la realizzazione…).
Ma quindi è un capolavoro?
No, dai, non caghiamo fuori dal vaso esageriamo.
La realtà è che è un film carino, atto a far sorridere e a far passare un’ora e mezza in leggerezza.
Ovvio, bisogna approcciarsi ad esso nel modo giusto: non dovete avere l’aspettativa di trovarvi di fronte lo spessore di un ‘Up’ o un ‘Wall-e’.
È un film leggero, simpatico e senza grosse pretese.
Il vero problema non è tanto il film ma quanto sia stato osannato dalla tv e dalle ragazzine,donne e babbediminkia (che a furia di mettere post su ‘ste supposte gialle parlanti ti hanno fatto odiare questo film prima ancora di averlo visto… Quindi i pregiudizi hanno superato le aspettative… Peccato perché se non fosse stato così pompato in questi due anni di realizzazione forse sarebbe stato accolto meglio, dai ragazzi).
Ergo, non mi è dispiaciuto anche se onestamente l’unica risata che mi ha strappato è stata quando il minion-chitarrista ha fatto quella performance a fine film. Per il resto, qualche tenerezza me l’ha fatta Bob e qualche scena d’azione non mi è dispiaciuta affatto.
Un film, in definitiva, che ha i suoi lati positivi, che entra nella mia videoteca personale, che mi è piaciuto più di tanti film animati dell’ultimo periodo ma che subisce inevitabilmente il giudizio pre-rotturadipalle delle donne che nei mesi ti hanno stressato con sti omini gialli.

domenica 20 settembre 2015

Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig


Dal titolo si evince che il libro parlerà di zen e motocicletta. Un connubio perfetto per chi simpatizza verso il buddismo e tutte le sue branche e per gli appassionati di motocicletta.
Quindi un libro accattivante che conquista i lettori di entrambi le fazioni e stimola la lettura anche di chi non ne fa parte?
Ma anche no.
È un tomo di 400 pagine in cui ci si aspetterebbe di tutto e di più, sia per quanto riguarda lo zen che per la motocicletta. Peccato che l’aspettativa deraglia ben presto.
Innanzitutto la storia del protagonista che va in giro per l’America in moto con suo figlio e due suoi amici è un susseguirsi di episodi ordinari dove la suspense è categoricamente esclusa. Si parla di moto a volte in modo troppo tecnico per essere capito (con tanto di grafici che lasciano il tempo che trovano), a volte soffermandosi su emozioni legate a questa passione che chi non ne fa parte non può capire.
Dalla sinossi avevo immaginato fosse un libro che parlava di zen DURANTE il viaggio, in stile ‘Mi succede questo e lo zen accorre in mio aiuto spiegandomi cosa sta dietro all’accadimento’ (tipo ‘La profezia di Celestino’, per intenderci. Invece è la storia del protagonista in viaggio intervallata dalla vita di un tale Fedro e della sua ricerca della Qualità. È come se l’autore avesse scritto due libri completamente slegati tra loro e poi, capendo che tira più un pel di… fondere due argomenti che venderli in libri separati. Praticamente ha smussare gli angoli dei due argomenti per dare un minimo di senso a tutto.
Senza contare che di zen c’è poco o niente. E se c’è è nascosto sotto pagine e pagine di ‘sto Fedro che va alla ricerca di cos’è la Qualità. È come se avessero messo nel titolo ‘Zen’ perché era troppo lungo scrivere ‘noiosa rottura di palle filosofica su un argomento che frega un cazzo a nessuno’.
Le parti di Fedro sono noiose, soporifere, da sgrattuggiamento di palle.
Invece di riempirle di perle di saggezza sulla vita, sul mondo, sulle emozioni, su quale congiunzione astrale ha portato uno come Ramazzotti ad avere successo, ha continuato a girare intorno al concetto di Qualità. Che ok, è comunque un argomento interessante che può starci in qualche pagina… Ma interi, lunghi capitoli no, dai. È veramente troppo.
La Qualità sta anche nel sintetizzare un concetto, nel renderlo chiaro e fruibile a tutti. Non nel girare intorno ad un argomento per decine di pagine che, seppur scritte tutto sommato bene, appesantiscono la lettura ed invogliano alla pennichella.
Ok, l’autore avrà pensato che più ci gira intorno all’argomento, più punti di vista ci sbatte dentro, e più la persona ha possibilità di capire ciò che lui vuole dire. Però se il dilungarsi porta solo a fare delle gran ronfate, forse l’obiettivo non è stato raggiunto.
Che dire?
Ci sono libri di gran lunga migliori di questo che parlano di zen. Libri più brevi, concisi, diretti, semplici, alla portata di tutti (tipo ‘lo Zen e il tiro con l’arco’) e più divertenti (tipo ‘Lo zen e l’arte di scopare’) o romanzi che abilmente intrecciano trame fantasiose con perle di saggezza zen (‘la leggenda di Bagger Vance’ o ‘il mondo di Sofia’, da cui sono stati tratti pure due film).
È un libro di 400 pagine che sarebbe potuto tranquillamente stare in 200 e anche queste sarebbero state fin troppe, che tratta da una parte un argomento (la motocicletta) in termini a volte troppo tecnici per interessare il lettore medio (che già non gliene frega niente della moto, figuriamoci di quanti bulloni ha quella del protagonisti, che problemi ha durante il viaggio e le sue soluzione da provetto meccanico) e dall’altra un argomento profondo che tutto tratta fuorché di zen.
Un libro impegnativo, lungo, noioso che ha senso tenerlo sul comodino della propria camera da letto solo come soluzione estrema a quando non riuscite a prendere sonno e avete bisogno di un metodo infallibile piombare nel mondo dei sogni in tempo zero.
In definitiva, è uno di quei libri che guadagnano 10 punti per il titolo azzeccato e -100000 punti per il contenuto.

venerdì 18 settembre 2015

Ted2


Ci riprovano i protagonisti a far ridere come nel primo film.
Ci prova anche lo sceneggiatore a costruire qualcosa di nuovo per non essere un banale copia/incolla del predecessore.
Ci provano tutti, dall’orsacchiotto  all’ultimo pirla che passa per strada, a far ridere.
Eppure non mi è piaciuto.
Quella volgarità che nel primo film ha fatto scompisciare, in questo seguito l’ho trovato pura e semplice volgarità fine a se stessa, a tratti persino fastidiosa (e lo dice uno che ha la volgarità facile e lo spirito di un sedicenne sempre-ingrifato… Ed  è tutto dire).
Un film politicamente scorretto che di più non si può. Così scorretto da diventare quasi imbarazzante, quasi fastidioso. Alcune gag le ho trovate troppo ‘oltre’ anche per i miei canoni, e questo ha abbassato il mio personale punteggio sul film.
Anche l’idea dell’orsacchiotto che reclama i suoi diritti di ‘essere umano’: idea dai risvolti etici e morali interessante ma che… Non so… Non mi ha preso appieno. Invece di essere solo il pretesto per raccontare dei cannoni formato missile terra aria e le battute sulle chiappe sode delle pin-up è il fulcro di tutta la storia. Questa porta a mettere troppa serietà in un film che dovrebbe fare ridere della stupidità dell’uomo (volgare e rozzo) medio, cosicché non valorizza ne l’una ne l’altra.
Come sempre, uno di quei film creati per cavalcare l’onda del successo del primo ma proprio per questo non riesce ad eguagliarlo (ne tantomeno superarlo): si è cercato di fare di più, ma l’intento è stato così portato all’eccesso che alla fine invece di renderlo un film migliore l’ha peggiorato.
Non che sia proprio da buttare, intendiamoci.
Semplicemente è uno di quei film da guardare in compagnia di soli uomini, con birrette alla mano, pop corn e rutti e scoregge libere. Si stacca la testa pensante e ci si lascia trascinare indietro nel tempo a quando eravamo quindicenni sboccati, stupidi, infantili, volgari e con la voglia di patata a mille quei desideri adolescenziali di amore casto e puro per una ragazza.

domenica 6 settembre 2015

daredevil


Sono ancora qua con fazzoletto inzuppato dalle lacrime, tanta è la mia commozione per essermi finalmente goduto un telefilm di supereroi degno di questo nome, uno con la S maiuscola e anche la E e anche tutto l’alfabeto a lettere cubitali.
Perché siamo onesti: non possono essere telefilm di supereroi quelli dove i superpoteri, l’azione, i colpi di scena sono in secondo piano rispetto alle storie d’ammmmmmore da liceale rincoglionita con tanto di lui ama lei che ama l’altro cha ama l’altra che ama un cane che ama la gamba destra del suo padrone. Dai, cazzo!
Prendete Arrow: ho resistito 6 puntate. Poi dopo l’ennesimo pucci pucci amore amore tra il protagonista, la tipa e l’altro ho detto basta. Anzi no, ho guardato per sfizio l’ultima puntata giusto per accorgermi che non mi serviva a nulla seguire tutti i precedenti episodi: si capiva perfettamente cos’era successo prima guardando semplicemente quest’ultima. Ovvero, non era accaduto nulla di rilevante.
Senza contare sense8, telefilm dei creatori di Matrix (che uno pensa: cazzo, se hanno fatto un film come Matrix, questo telefilm dovrà essere un capolavoro all’ennesima potenza). E invece… pucci pucci amore amore tra etero e lesbiche e gay (niente da ridire sugli accoppiamenti: semplicemente che palle sempre scaramucce amorose e coccoline da adolescenti!).
Non ho visto ancora Shield, ma da quel che ho letto in giro è pollice verso il basso e vomito a catinelle.
Invece Daredevil è ciò che dovrebbe essere: un telefilm di un supereroe senza poteri (quindi se le busca di  brutto ogni volta e si deve far ricucire peggio di una maglietta taglia S indossata da un obeso) in un contesto drammatico (senza battutine da ‘scemo e più scemo’ ad alleggerire l’atmosfera) con una continuity serrata (che se perdi una puntata non capisci che cavolo è successo) con nemici cattivi e spietati che non guardano in faccia a nessuno (manco fosse miss Universo in topless) e con qualche accenno di pucci pucci ma talmente marginale da non essere fastidioso o eccessivo.
Daredevil è un uomo con un passato drammatico e strappalacrime, con un presente da vendicatore mascherato in cerca di giustizia e con abilità fuori dal comune che danno dinamicità alle scene d’azione.
Lui soffre, si fa pestare a sangue, si fa inculare (metaforicamente, non biblicamente come i protagonisti di sense8) dai nemici ma ogni volta cade e si rialza, affronta il suo passato per rendere migliore il suo presente, cerca di essere sempre giusto e onesto, senza approfittare dei suoi poteri per mettersi in bella mostra, senza usarli per fare il figo con le donne (del tipo ‘sai cosa dicono dei ciechi? Che hanno il tocco magico… ‘). Un eroe con continui conflitti interiori che lo rendono ancora più umano, ma con quel distacco verso le donne che non lo fanno cascare nella trappola del ‘quant’è bello amore se non è litigarello’.
I coprotagonisti reggono il confronto con una loro personalità marcata e una loro strada da seguire, arricchendo la storia con sottotrame separate da quella principale di Daredevil.
In definitiva, un telefilm che pur essendo Marvel si discosta da tutte le produzioni da festicciola adolescenziale dei film (dove per ogni scena ci deve essere almeno una battuta strapparisatadeinerd altrimenti diventa troppo serio), che ha un suo spessore narrativo drammatico senza perdersi troppo in scene di ‘peace and love’ e che mostra un supereroe tormentato in tutto il suo vivere da uomo normale ma con una marcia in più.
Telefilm promesso.

domenica 23 agosto 2015

Ant man


Nuova pellicola dell’universo Marvel, la quale narra le gesta di questo supereroe che indossando una tuta riesce a rimpicciolire le sue dimensioni fino a quelle di una formica.
La trama è classica: il cattivone di turno ha creato un costume per scopi militari rubando l’idea al suo mentore (il quale aveva creato un costume similare anni addietro). Quest’ultimo per sconfiggere il brutto cattivo monello fa indossare il costume ad un uomo con problemi famigliari e di giustizia (dato che era stato in carcere per furto, divorziato dalla moglie e con la figlia che riesce a vederla poco e male… Un po’ la storia del padre divorziato italiano medio).
Oltre agli addestramenti e agli scontri a base di effetti speciali, si dipanano le sottotrame strappalacrime-fazzoletto alla mano tra l’uomo/ant man e il suo desiderio di dimostrare alla figlioletta di essere un brav’uomo e pure figo, tra il mentore e il suo pupillo/cattivone e tra il mentore e sua figlia (Evangeline Lilly, quella di Lost, più topa che mai in questo film).
Come ogni film Marvel che si rispetti, abbondano gli effetti speciali e i ritmi serrati con zero momenti di noia.
Non possono mancare neppure le gag che tanto fanno sorridere nerd e non (me ne sono piaciuti un paio in cui si fa riferimento ad altri film Marvel… Questa modalità continuity da fumetto seriale nei film mi convince sempre più). Ma abbondano anche le frasi ad effetto che lasciano il segno (sia per quanto riguarda quelle drammatiche che quelle ‘epiche’ da ‘andiamo in battaglia e spacchiamo il culo a tutti’).
Il cattivone l’ho visto un po’ poco cattivo (ma aimè se lo vado a paragonare a Joker o a Utron, è come sparare sulla croce rossa: non c’è paragone) ma tutto sommato regge la scena.
Personalmente l’ho trovato qualitativamente un pelo più basso rispetto ad altri film (in primis gli Avengers e i Guardiani della galassia) e ho trovato qualche gag di troppo (problema riscontrato anche in Avergers 2) specialmente quando sono gettate a cazzo in certe scene che richiedono un minimo di drammaticità (ma che ci volete fare? La Marvel ormai è della Disney: tra un po’ troveremo Thor a combattere contro Paperino e Iron Man/Tony Stark a letto con Topolina).
Disney ci avrà messo anche lo zampino nello scontro finale che per quanto in certi momenti mi ha strappato un sorriso, in altri mi ha fatto pensare che ‘cazzo dovrebbe essere un film di supereroi! Manteniamo un certo decoro’).
Ci contro, gli effetti speciali dominano incontrastati come sempre in questo genere e il film scorre che è un piacere. Mi è piaciuto anche l’incontro con un personaggio ‘inaspettato’ (niente spoiler, lo giuro) anche se ad un tratto mi ha fatto sperare anche in un intervento di altri (lì sarebbe stato il non plus ultra) ma era sperare troppo!
E il cameo di Stan Lee??? Me lo sono chiesto fino alla fine… C’è c’è, tranquilli.
Senza contare le due (e sottolineo due) scene di chiusura (la seconda non l’avrei mai capita se non avessi cercato su internet la ‘traduzione’).
In definitiva, un film che non raggiunge i livelli di Avengers 2 (ma credo che quelli siano irraggiungibili) sia come effetti speciali che come spessore dei personaggi coinvolgi (e voi mi direte:’E grazie al cazzo E ci mancherebbe: stiamo paragonando il top dei supereroi Marvel riuniti con un supereroe mignon!’) ma resta un film godibilissimo, ottimo per una serata al cinema scacciapensieri con tutti i requisiti che ci si aspetta da un film d’azione.
Ovvio, se andate a vederlo con l’aspettativa di un film drammatico ‘alla batman’ resterete delusi. Ma se invece lo fate con l’idea di godervi un bel film di scazzottate, effetti speciali e supereroi, è il film che fa per voi.

 
Ps
Comunicazione di servizio
Oh, voi che portate i figlioletti al cinema… Lo capisco che sono bambini e si comportano come tali… Ma PER DIO!, se la sala è mezza vuota ci si aspetta almeno che ci si possa godere una volta tanto un film in santa pace. Avere come sotto fondo un bambino che grida ‘Oh, che belle le formichine ih ih ih’ ci può stare una volta, ma se rompe i coglioni tutto il tempo, no dai.
È nella natura di un bambino fare il bambino… Ma è nella natura di un adulto educarlo. Ed educazione vuol dire innanzitutto non rompere i coglioni alle altre persone!
Ma d’altro canto, cosa ci si può aspettare da genitori quali la mamma che si mette ad un tratto a raccontare all’amica dello shopping che ha fatto il giorno prima? E allora… Beh, andate a fare in culo tutti, dai!
Se volete raccontarvi i cazzi vostri, fatelo in privato e soprattutto in un contesto più idoneo!
Vi ricordo che si dice:‘Andare a vedere un film’. Non ‘Andare a vedere un film con sottofondo di cagacazzi’.
Che se voi avete voglia di buttare 9€ per stare in sala a chiacchierare sono fatti vostri. Ma permettete che io voglia spendere i soldi solo ed unicamente per gustarmi il film in santa pace?
Grazie.

martedì 18 agosto 2015

'Le streghe son tornate' di De la Iglesia


Sarebbe stato uno di quei film che metto come ‘sottofondo audio-video’ mentre faccio altre cose, di quelli che seguo per venti minuti e poi cambio perché disgustato dalla (bassissima, metropolitanica) qualità della trama. Invece mi sono ricreduto.
La prima scena spacca: un furto ad una gioielleria ad opera di un gruppo di mimi della strada con annesso bambino di uno di essi. È azione paradossale pura, di quella che ti aspetti da un film americano. Non certo da uno spagnolo.
Poi c’è la fuga. E da qui la storia prende una svolta da thriller splatter che può o meno piacere.
Diciamo che l’inizio fa sperare il un film capolavoro imprevedibile ed inaspettato, anche se poi si perde un po’ in una fusione di generi che a tratti lascia perplessi. Ciò non toglie che questo è anche un punto di forza perché è un continuo trovarsi di fronte ad un cambio di direzione della trama.
Ci sono varie chiavi di lettura, da quella più superficiale del film grottesco che fa divertire a quella più profonda rappresentata dallo scontro tra sessi, tra personalità forti e sottomesse.
Un film che rappresenta la realtà in modo crudo, a tratti paradossali ma pur sempre concreta.
Certo, certe scene sono un po’ troppo bizzarre (la donna ‘gigante’ è veramente di un grottesco assurdo, tanto da farmi grattare la testa pelata con evidente perplessità) ma tutto sommato sono funzionali alla storia e non rovinano più di tanto l’atmosfera generale (anzi, danno quel tocco di ridicolo in più che non fa mai male).
Ma quindi è un film che spacca?
Mah.
Se fosse stato tutto sulla spettacolarità dell’inizio lo sarebbe stato.
Ma poi si perde un po’ troppo per strada.
O meglio, è la prima scena che è troppo paradossale, facendo passare in secondo piano il resto del film.
In definitiva, non è uno di quei film che metterei nella mia top ten dei preferiti. Ma non lo getterei neppure nel bidone della spazzatura (anche perché ormai straripa di tutti i film dei Vanzina…).
Ergo, consiglio la visione a tutti, sia per coloro che vogliono passare una serata guardando un film old-splatter-style sia per chi vuole cercare un nuovo punto di vista sulla guerra di sessi.

venerdì 7 agosto 2015

Sex movie in 4D


C’era un tempo in cui certi film adolescenziali che parlavano dei loro primi tumulti ormonali hanno fatto storia (primo fra tutti ‘American Pie’).
Poi sono venuti gli altri, che hanno tentato di cavalcarne l’onda convinti che bastasse parlare di tette-culo-pisello problemi sessual-adolescenziali per strappare un sorriso e un voto positivo. Ci provavano anche mettendo della belle ragazze tassativamente tette al vento per alzare … l’entusiasmo.
Ma non ci sono cavoli: se non c’è la sostanza, puoi mettere anche un vagone pieno di patate in bella mostra, dalla più sottile alla più carnosa, da quella più cespugliosa a quella più potata che tanto il ragazzo/uomo medio, dopo il primo entusiasmo da guardone giustificato, passa a modalità noia esponenziale.
‘Sex movie’ rientra in questa categoria: c’è il solito ragazzo sfigato verginello che pensa solo ad una cosa (e non stiamo parlando della playstation), l’amica di cui è innamorato ma che non lo fila manco di striscio, l’amico che (pur essendo sfigatissimo) usando tecniche d’abbordaggio (che solo in un film potrebbero funzionare: nella realtà sarebbero raffiche di due di picche e schiaffi) così raffinate (…) che tromba più di un giocatore di serie A e infine una ragazza vogliosa ma lontana pronta a rendere l’insverginabile finalmente un uomo.
Una storia trita e ritrita, già vista mille volte, che però può distinguersi dalla massa grazie a dei personaggi riusciti, delle battute d’impatto, un evolversi della storia inaspettato ed accattivante, scene epiche e stra-comiche. Peccato che non ha nulla di tutto ciò.
Ci prova, gliene do atto. Ma fallisce.
Non fa ridere, non fa provare emozione, non coinvolge (ci si immedesima di più nella macchina del protagonista che non negli attori… E ho detto tutto), non dice nulla di che. Un film piatto che tenta di guadagnare punti con qualche episodio politicamente corretto, con il lieto fine che non può mancare (cazzo mai una volta che si conclude con un quasi lieto fine: tutti sono felici e contenti, tutti a sbaciucchiare la propria amata quando ecco che cade una bomba e riduce tutti a polvere da bucato… Quella sì che sarebbe una fine degna di nota!).
In definitiva, un film uscito nel 2008 e che ho avuto il (dis)piacere di vedere solo adesso e che non mi ha arricchito neanche un po’. Passerà nel dimenticatoio in 3-2-1-0.


Emh… Di cosa stavo parlando??
Ieri ho visto un film? Ma va?

martedì 28 luglio 2015

Tomorrowland

 
Dal trailer sembra un buon film di fantascienza con effetti speciale a iosa e azione a raffica.
Lo è veramente?
A guardare i primi minuti sembra più una colossale puttanata un classico film per ragazzini. Quando Clooney spiega la condizione del mondo con una voce femminile che scartavetra i suoi (e i nostri) maroni lo interrompe continuamente si ha solo voglia di prendere ed andarsene: questa imbarazzante sequenza è così fastidiosa da spingere a rivalutare in positivo i cinepanettoni italiani (e ho detto tutto).
Per fortuna poi recupera, con scontri a suon di armi fantascientifiche, città futuristiche da sogno e un continuo susseguirsi di azioni e colpi di scena.
Sarà perché io sono sensibile a certe tematiche ( ovvero quel ‘salviamo il mondo prima che sia troppo tardi, coglioni!’) cosicché il film recupera punti. Senza contare che se visto staccando la mente critica e razionale che grida alle incoerenze logiche presenti (un po’ come quando ci si appresta a guardare ‘avengers’) può anche piacere.
Eppure non so, c’è quell’atmosfera fanciullesca di sottofondo che non permette di apprezzarlo appieno. È come se sopra la fantascienza, gli effetti speciali, le botte da orbi e le frasi ad effetto ci sia sempre Topolino che ti strizza l’occhio, che ti saluta col suo guanto anti-malattie veneree.
Forse è questo che penalizza di più, il fatto che abbiano fatto un film per ragazzini pur cercando di accaparrarsi anche il pubblico adulto, tirando fuori però un ibrido che non soddisfa ne una fascia d’età ne l’altra (certi passaggi sono troppo complicati per dei bambini mentre certe leggerezze e scambi pseudo-comici (vedi il famoso inizio, bbrrrrrr) vanno a tratti cadere a picco l’interesse, l’entusiasmo e anche i maroni).
Certo, si resta piacevolmente meravigliati della città ‘del futuro’, le scene d’azioni tengono alta l’attenzione e certi dialoghi apocalittici-save the world danno una marcia in più alla storia… Ma poi ci sono quelle scenette alla bimbo-minkia che tagliano le gambe allo spettatore.
Ciò non toglie, lo ammetto, che come film è migliore di tanti altri visti ultimamente.
Ergo, non è uno di quelli che consiglierei di andare a vedere al cinema, soprattutto se avete più di 11 anni. Ma una serata davanti alla tv ci può stare, dai.
Ma mettete in mute i primi 5 minuti. Vi risparmierete il tempo passato a raccogliere le vostre palle dal pavimento…